Report dall'Abruzzo - parte I
Un campanile scalcinato, senza orologio. L’orologio giace a terra, poco distante. Le sue lancette segnano le 3,35. Sono le 3,35 del 6 aprile 2009. La tragica notte che ha sconvolto la città dell’Aquila e la sua provincia. Quella notte il tempo si è fermato.
Pochi giorni dopo quel terribile 6 aprile decido di partire per l’Abruzzo. Porto vestiti, generi alimentari, aiuti, ma soprattutto la voglia di capire cosa è successo, cosa rimane dell’Aquila e cosa il mainstream dell’informazione italiana non vuole, o non può, raccontare. Voglio «portare a casa una verità diversa».
Ne nasce un reportage composto da centinaia di scatti che ritraggono, a pochi giorni dal sisma, un vero e proprio scenario di guerra: «Un viaggio che mi ha davvero cambiato la vita. Quando sono giunto a Tempera, piccola frazione di montagna a pochi chilometri dall’Aquila, non credevo ai miei occhi, del paese non restava più nulla».
Grazie all’aiuto di pastori e contadini del luogo, riesco a “rubare” letteralmente alcune immagini della tragedia che sono rimaste fuori dalle descrizione della stampa italiana; «Sono stato ospitato nel campo di san Biagio. A colazione, pranzo e cena tutta la comunità scampata al disastro si trovava sotto il tendone-cucina. È in questi momenti che sono riuscito a rompere il ghiaccio con gli abitanti e a conferire alle mie fotografie, grazie ai racconti degli attimi seguiti alla tragedia, il valore aggiunto che cercavo. A San Gregorio ho visitato un vecchio mulino o, meglio, ciò che ne restava. Ho risalito il torrente che portava a Tempera, dove l’unica via d’entrata era ricoperta da più di cinque metri di macerie. Una volta arrivati alla piazzetta della chiesa ho realizzato che del borgo non rimaneva più nulla».