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Report dall'Abruzzo - parte III


Sono arrivato a l’Aquila, ne sono certo. In questo “teatro” della tragedia lo scenario è cambiato. Fino a pochi chilometri fa la vita proseguiva nella sua solita routine, da qui capisco che nulla più continua.

Nonostante mi sentissi pronto per affrontare questa doverosa tappa della mia vita, davanti alla realtà ho pianto. Qui la vita per molti si è fermata, in un modo assurdo, nel posto nel quale il più delle volte cerchiamo sicurezza, nella propria casa. Pensavo di sapere cosa fosse la tragedia alla quale stavo andando a fare da comparsa, portando quel poco di aiuto e di volontà che ho.

Avevo visto le immagini alla televisione, mi avevano turbato e colpito, ma quando sono arrivato ho perso la certezza di essere pronto. Più mi avvicinavo più mi sembrava di essere arrivato in uno scenario di un film apocalittico. Nella ricerca del campo al quale erano destinati i nostri aiuti, mi rendevo conto sempre di più di quanto non si possa provare fino in fondo tristezza se non vivendola sulla propria pelle. Ho sentito la lontananza e il distacco che sino allora avevo colmarsi e turbarmi. Ero ferito vedendo le solite immagini scorrere sugli schermi, ma persone silenziose e tristi in quel momento gridavano nel mio cuore un lamento profondo. La vera tragedia però, si viveva ancor più nel momento dei pranzi, delle cene, perché file di persone silenziose uscivano dai loro rifugi, da quelle tende blu, che in quel momento erano tutto ciò del quale disponevano.

La sera, prima della cena, c’era la distribuzione delle prime necessità presso le famiglie, ed era veramente dura sentirsi dire grazie per aver dato loro solo uno spazzolino da denti preso dal magazzino di viveri e degli aiuti che con generosità sono arrivati. Avrei voluto fare di più, ma non mi era possibile, vorrei aver potuto dare di più. Sotto queste tende era difficile entrare in contatto con gli animi delle persone, si poteva rischiare di turbare quella piccola stabile tranquillità che stavano cercando, per questo la sera avevo paura di stare con loro, per questo non stavo nella tenda della mensa. C’erano persone più adatte per portare questo genere di aiuto, e ci sono stati ragazzi che sono riusciti in questo, facendo in modo che le persone riuscissero a tirar fuori un poco di rabbia. Preferivo stare al lavoro manuale, alla sistemazione del magazzino, della tenda “asilo” che si stava allestendo. La sera più dura è stata quando un bambino, con due grossi occhioni è entrato, mi ha fissato e mi ha chiesto di poter avere un solo giocattolo, allora si la mia anima è restata schiacciata.

Tra noi volontari, la preoccupazione era solo una, ovvero che le persone non venissero dimenticate. E durante il viaggio di ritorno,il silenzio assordante della macchina ha fatto il resto, mi ha fatto riflettere sull’importanza di non dimenticare e di quanto sia importante ricordare gli occhi di quel bambino e quelle macerie che hanno strappato molte vite. È importante continuare a ricordare e non lasciare solo nessuno.


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