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dietro il Palio

Così va la senesità. Il Palio non è che la punta dell’iceberg. Il fantino si picchia, ma il cavallo si coccola. Se si fa male, si piange disperatamente. Perché il cavallo, al contrario del fantino, che è prezzolato, si riceve "in sorte", è un dono della fortuna e quindi del destino che sovrintende alla vita degli uomini, della città e, ovviamente, della corsa. Se si vince, si fa una cena in cui il cavallo è a capotavola. Dei grandi cavalli da palio si celebrano le commemorazioni a decine di anni dalla morte. Per quelli che, "caduti sul campo", non possono più correre, è stato creato una sorta di ospizio: è il modo tutto particolare che Siena ha per ringraziare, comunque, quegli sfortunati quadrupedi che l’hanno aiutata a celebrare se stessa.

Per i senesi, Siena, è una fissazione, una monomania.Per queste motivazioni, ormai da anni, ho deciso di avvicinarmi al Palio come interlocutore esterno dall’interno. L ’amicizia, nata in seguito con i Selvaioli, mi ha portato ad essere “adottato” e a diventare senese e contradaiolo della Selva a tutti gli effetti. Il mio lavoro, comprende, immagini “inedite” viste e vissute da dietro il sipario e non in “poltronissima”. La difficoltà è stata farsi accettare e, quindi, riuscire ad entrare in una mentalità, che per sei giorni alll’anno, ritorna al medioevo. La diffidenza dei contradaioli è stata enorme all’inizio, ma se riesci a conquistare la loro fiducia, l’amicizia diventa indissolubile. Questo percorso mi ha dato modo di conoscere due reporter uno senese, Luca Lozzi, e l’altro di Rovereto, Maurilio Barozzi, con i quali mi sono potuto confrontare.

Parlando con Luca ho capito da subito le diverse intenzioni. Per lui il Palio è solo business perché, avendo un negozio di fotografia vicino a piazza del Campo, l’Assunta e Provenzano diventano due momenti di puro lavoro. Ogni anno il due luglio e il sedici agosto si mette a bordo pista e cerca di immortalare la caduta più spettacolare oppure la nervata data da un fantino all’altro per non farlo passare. Finito quel minuto e mezzo di pura adrenalina, che è la corsa, deve correre appresso alla contrada vincitrice per realizzare scatti da vendere al miglior offerente. Per me non è mai stato così. Io la corsa me la vedo insieme agli amici nella casa della Selva adiacente alla piazza, aspettando e fremendo per il Palio da correre. Gli scatti riguardano la cena in contrada che si svolge il giorno prima della corsa; le azioni che solitamente vengono svolte dopo la prova, come, per esempio, quando nella stalla il cavallo viene spazzolato, la benedizione in chiesa e, nel museo di contrada, mentre i figuranti si preparano all’uscita in montura per la consueta passeggiata storica. I miei scatti raccontano negli anni una storia legata ad un filo conduttore che è la vita della contrada.

Confrontandomi invece con Maurilio, fotografo e scrittore, ho scoperto la sua delusione. Per lui è stata solo una ricostruzione storica, con tanto tempo di attesa e un solo minuto e mezzo di corsa. Troppo business nei ristoranti e negli hotel. Niente amore per nessuna contrada e molta diffidenza nei suoi confronti. Non è riuscito ad avvicinarsi a nessun contradaiolo. Ha vissuto questa esperienza come uno spettatore “pagante”.

Grazie al rapporto di amicizia che ho costruito con i Selvaioli, ho realizzato report dall’interno, capendo il vero significato della contrada e seguendo i suoi ritmi. Il rispetto per le loro tradizioni mi ha aiutato ad entrare in sintonia con i contradaioli, aprendomi le porte del loro Palio, fatto di un grandissimo amore per il cavallo e di amicizia fra contradaioli.


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